All’ombra dei banani, il caffè bio si fortifica e riconquista Cuba (tra tecniche antiche e retribuzioni eque)

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«Il caffè biologico per me è diventato un mercato molto più sicuro e proficuo rispetto all’allevamento». Rafael Antonio Infante, conosciuto da tutti come Tony, è un campesino cubano. La sua tenuta, “La Silla”, si trova nel comune di Tercer Frente, all’interno della provincia di Santiago di Cuba. Laureato in Economia, Tony ha cominciato a produrre caffè solo da qualche anno. Eppure oggi la sua finca , avviata nel 2017, è una delle più produttive dell’area: «Abbiamo cinque ettari dedicati al caffè e, in un solo anno, ne abbiamo prodotto quattro tonnellate». Tony è riuscito a ottenere questi risultati aderendo a BioCubaCaffè, una Empresa Mixta che consiste in una joint-venture tra la Fondazione Giuseppe e Pericle Lavazza, il Grupo Agroforestal (Gaf) e la società Hecho en Italia, fondata dall’Agenzia di Interscambio Culturale ed Economico con Cuba (Aicec), in collaborazione con il ministero dell’Agricoltura cubano.

Chicchi più resistenti alle malattie fanno rinascere le aziende dei caffecoltori cubani che contrastano la crisi climatica. E con il progetto BioCubaCaffè di Fondazione Lavazza impostano un nuovo modello di coltivazione agroforestale

Grazie a questa iniziativa, Tony ha potuto acquistare piante di caffè selezionate a livello genetico tra le specie più resistenti a cambiamenti climatici e malattie come il fungo “roja”, la ruggine del caffè. E poi, grazie all’assistenza del Gaf, ha imparato a valorizzare la coltivazione “agroforestale”, una tecnica tradizionale cubana che incentiva la riforestazione perché prevede che le piante di caffè crescano protette dall’ombra di alberi e arbusti più grossi , come i banani, che il Gaf gli fornisce a tariffe convenienti. «Le mie piante di caffè cominciano a soffrire a causa dell’aumento delle temperature. Ho aderito a BioCubaCaffè perché spero di cambiare le cose», racconta Florencio Fernandez Nuñez, che ha una finca nella provincia di Guantanamo.

 Dopo la raccolta, i chicchi di caffè vengono sparsi e messi a seccare al sole su ampie superfici terrazzate di cemento. Prima che faccia sera, alcuni addetti come quello nella foto devono radunare i chicchi e coprirli per proteggerli dall’umidità notturna Dopo la raccolta, i chicchi di caffè vengono sparsi e messi a seccare al sole su ampie superfici terrazzate di cemento. Prima che faccia sera, alcuni addetti come quello nella foto devono radunare i chicchi e coprirli per proteggerli dall’umidità notturna
Orgoglio cafetales

Tony e Florencio sono solo due dei 170 produttori di caffè cubani (su 19 mila) che hanno aderito al progetto BioCubaCaffè. Un accordo da più di tre milioni e mezzo di euro, che ha un obiettivo ambizioso: far rinascere la produzione di caffè a Cuba, passata dalle oltre 20mila tonnellate degli anni Cinquanta alle circa 11mila attuali. Il progetto prevede una serie di azioni per arrivare al traguardo, come ad esempio semplificare la catena produttiva, caratterizzata oggi da un numero eccessivo di attori. Ma anche puntare su innovazioni tecniche e scientifiche per aumentare la resa produttiva delle piante, migliorare la tracciabilità dei prodotti grazie alla tecnologia blockchain e introdurre un processo più equo per la retribuzione dei campesinos. Un punto, questo, di cui va particolarmente orgoglioso Michele Curto, presidente di Aicec: « Grazie a BioCubaCaffè i produttori ricevono assistenza tecnica, ma soprattutto la garanzia di essere pagati con la valuta ufficiale che, a parità di prezzo, vale il doppio rispetto a quella locale ancora in circolazione. Questo permette loro di comprare nuove attrezzature per la propria attività e migliorare il proprio stile di vita».

 Una volta raccolti ed essiccati, i chicchi di caffé vengono selezionati, sia tramite processi automatizzati sia a mano. In seguito vengono messi in sacchi dotati di codici identificativo che servono a garantire la provenienza del caffè Una volta raccolti ed essiccati, i chicchi di caffé vengono selezionati, sia tramite processi automatizzati sia a mano. In seguito vengono messi in sacchi dotati di codici identificativo che servono a garantire la provenienza del caffè
I coloni francesi in fuga da Haiti

Tra Cuba e il caffè c’è una relazione antica. Comincia nell’Ottocento, quando i coloni francesi, in fuga da Haiti, portano le prime piante di caffè nella Sierra Maestra, all’interno della provincia di Santiago de Cuba. «I francesi si erano perfino portati un manuale che illustrava tutto il processo di produzione», spiega il professor Omar López Rodríguez, che grazie al suo lavoro ha contribuito a far riconoscere le antiche cafetales cubane come patrimoni dell’Unesco. Uno degli obiettivi del progetto BioCubaCaffè è proprio quello di dare nuovo vigore alla cultura del caffè incentivando il consumo locale, contribuendo così allo sviluppo del Paese. Va in questa direzione l’idea di ristrutturare un antico palazzo sulla Avenida Italia, all’Avana. Qui, nel giro di due anni, sorgeranno un museo del caffè e, soprattutto, un training center per baristi: un passo importante nella strategia di riconnettere Cuba a una tradizione antica, che si è indebolita nel corso del tempo.

All’ombra dei banani, il caffè bio si fortifica e riconquista Cuba (tra tecniche antiche e retribuzioni eque)
Meno piante ma vero guadagno

Ma BioCubaCaffè guarda anche al futuro. Quello cubano, infatti, è un modello di coltivazione virtuoso, perché basato su tecniche agroecologiche tradizionali che oggi risultano particolarmente efficaci nel mitigare cambiamenti climatici e riscaldamento globale. «Negli anni Cinquanta le foreste ricoprivano appena il 13 per cento di tutto il Paese. Ma dalla rivoluzione del 1959 a oggi, grazie a una legge che vieta il disboscamento e ai finanziamenti per la riforestazione, sono arrivate al 42 per cento», spiega il viceministro dell’Agricoltura, Maury Hechavarría Bermúdez. Si tratta del risultato di una visione a lungo termine, che oggi fa di Cuba uno dei Paesi col più alto tasso di riforestazione del mondo. E la rende un modello da seguire per la coltivazione di caffè: «Le tecniche classiche, con le piante completamente esposte al sole, sono ancora molto diffuse ma risultano antistoriche. In un mondo sempre più caratterizzato da temperature elevate e siccità, il modello di coltivazione cubano, basato sul mix tra caffè e piante da ombra, diventerà l’unico possibile».

 

All’ombra dei banani, il caffè bio si fortifica e riconquista Cuba (tra tecniche antiche e retribuzioni eque)

 

Perdite calcolate

Non ha dubbi Veronica Rossi, Lavazza Sustainability senior manager. Nonostante la coltivazione agroforestale abbia il difetto di togliere spazio alle piante di caffè, infatti, i benefici sono evidenti: «Agli agricoltori locali spesso spieghiamo che la perdita di alcune piante di caffè può essere compensata introducendo alberi da legname o da frutto come avocado e mango, che rappresentano un’altra fonte di reddito». Il metodo cubano potrebbe diventare un modello da seguire a livello mondiale anche alla luce della nuova legge europea che vieta l’importazione dei prodotti che causano deforestazione, come olio di palma, soia e, appunto, caffè. «Il nuovo Regolamento richiede di non importare caffè proveniente da attività di deforestazione a partire dal 31 dicembre 2020», commenta Rossi: «L’impatto su alcuni Paesi africani, come la Tanzania, sarà devastante. Ecco perché il modello cubano, che si distingue per il suo approccio agroforestale e per la ricerca sulle nuove specie di piante più resistenti, potrebbe fare la differenza in un mondo che rischia di vedere il caffè scomparire entro il 2050 ». Il terreno è fertile. Non resta da sperare che dal seme di BioCubaCaffè possa fiorire una rivoluzione produttiva capace di rilanciare il caffè biologico cubano sul mercato internazionale.

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